Svolazzando tra siti, inseguendo la storia del foulard, sono passata dallo splendore delle stampe e delle sete di Hèrmes, ad una scena degna di un film di Dario Argento. La morte di Isadora Duncan. Il 24 settembre 1927, Nizza, Francia. Isadora Duncan si trovava sul sedile passeggero di una automobile Amilcar CGSS.

La lunga sciarpa di seta che indossava, disegnata dall’artista russo Roman Chatov, rimase impigliata nella ruota posteriore al momento della partenza dell’auto. Sbalzata fuori dall’Amilcar e finita sul selciato, morì strangolata dalla sciarpa. Gertrude Stein, commentò con una battutta assai pungente e cattivella la morte della Duncan: «Affectation can be dangerous» (“Certi vezzi possono risultare pericolosi”.)
La Duncan era stata la ballerina che aveva scardinato i tecnicismi e le rigide regole del balletto classico. Via le punte, via il tutù. Scelse abiti simili a pepli, ispirandosi molto all’antichità greca, anche nei movimenti sciolti e fluidi che favorivano una maggiore libertà espressiva. La bisnonna della danza moderna, memore dei panneggi delle statue classiche e dei suoi volteggiamenti sui palcoscenici mondiali, il giorno in cui il suo collo eburneo fu spezzato da una sciarpa, avrà voluto riproporne l’effetto, in una variante più futurista-boccioniana.
Decisamente, le automobili non portavano bene a Isadora Duncan, vista l’immane tragedia che dovette sopportare nel 1913, quando i suoi figli di sette e tre anni annegarono insieme alla loro governante nell’auto lasciata con il freno a mano non tirato e precipitata nella Senna. Si può anche pensare che la dea Nemesi stesse scioperando quel 14 settembre 1927. O che sarebbe stato più prudente non indossare quella lunga sciarpa in una macchina dal retro così corto. L’effetto che cercava la Duncan riuscirà a Grace Kelly nel film Caccia al ladro del 1955, con una sciarpa più corta e una macchina più lunga, che si muoveva solo nelle primitive illusioni del cinema di quegli anni.

Evitare le automobili a benzina, sciarpa o non sciarpa, è una scelta comunque intelligente, ogni volta che è possibile. Una grande invenzione, l’automobile. Rivoluzionaria. L’auto è comoda. Cito ancora Marshall McLuhan: “L’auto è diventata un articolo di abbigliamento senza il quale ci sentiamo incerti, svestiti, e incompleti nel complesso urbano.” Ancora: “L’auto è diventata il carapace, il guscio protettivo e aggressivo, dell’uomo urbano e suburbano.”
Al tempo dei Futuristi, l’auto era una vera figata. Oggi, una sfigata. Obsoleta, inquinante e spero in via di essere definitivamente superata. Oltretutto un buon 9o% delle utilitarie sono davvero brutte. L’invenzione del motore a scoppio risale al 1853, ad opera dei lucchesi Eugenio Barsanti e Felice Matteucci; una tecnologia che seppur rimaneggiata, è rimasta sostanzialmente la stessa da allora. E mi tocca di ricitare McLuhan, non riesco a resistere, è l’ultima: “se funziona, è vecchia.”
Dato che con ritardo anche in Italia si stanno costruendo piste ciclabili, mi sembra sano e assai furbo andare il più possibile in bici. Ed avvicinandosi la festa della donna, rendere onore alla bicicletta, che contribuì non poco a liberare le donne da crinoline ed ingombranti gonne, con l’avvento della tenuta da bici, che consisteva in giacchine con maniche a sbuffo vittoriano, pantaloni alla zuava e stivaletti con i lacci.

Per sicurezza, se si indossa un foulard mentre si pedala, non lasciare lunghi svolazzi e codazzi. Sacrificare l’effetto scenografico. Non si sa mai.
