Io e il mio Accompagnatore siamo seduti su due sgabelli di ferro ai lati di un tavolino, in una piccola stazione di servizio Tamoil semideserta. Vento caldo africano, cielo sabbioso. Un cartello di latta cigola appeso presso una delle pompe.
Lui:”El Paso.”
Io: “gente che non ama i forestieri.”
Lui: “quello era Agua Caliente.”
Stiamo bevendo due bottigliette di acqua. La mia liscia, la sua gassata.
Io indosso un grosso cappello di paglia da drama queen. Il mio Accompagnatore indossa una camicetta di lino bianca col collo alla coreana, che tre piccole cuciture rosse, una verticale sul cannoncino, le altre due orizzontale ai lati del taschino, le danno una voce fuori dal medio anonimato. Bella, ok, ma nessun’altra potrà mai eguagliare quella che gli regalai io.
Si avvicina un tizio basso, con la faccia poco sveglia.
“Sono forse tanto brutto che mi guardavi male prima?…”
Lo interrompo subito: “Ascolta, sbagli tipologia di tizia…” evito un “proprio un fiore non sei” e gli risparmio uno “smamma”.
“Ce l’avevi con me perché non avevo la mascherina eh?”
Touché. Gli avevo dato uno sguardaccio più istintivo/abitudinario che riflettuto, credendo che stesse entrando al bar senza mascherina. Invece si era fermato sulla soglia della porta aperta, con le braccia incrociate. Avevo finito per ignorarlo.
“Non sono entrato, io, dice indicando se stesso, e tu, dice indicando me, non ti sei accorta che la barista dentro ti stava servendo senza mascherina.”
Discendo felpata dallo sgabello. Mi sporgo per controllare dentro il bar. È vero.
Resto là, sotto il cappello, a fare la figura dello stolto del detto da biscotti della fortuna che guarda il dito e non la luna.
Vi auguro un agosto elevatamente elegante.

L’ha ripubblicato su Bagatellee ha commentato:
😀
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